Lumie di Sicilia, n. 122 (37 online), pp. 21-24
gennaio 2019

Renzo Cremona
cartoline da trapani

di Marco Scalabrino

“Il mio libro Il canone del tè – rievoca Renzo Cremona, nell’intervista rilasciata a Ornella Fulco che per sommi capi a più riprese richiameremo – si era classificato secondo alla XIV edizione del premio letterario “Erice Anteka”; invitato alla cerimonia di premiazione, salii a Erice in cabinovia. In quell’occasione ripartii l’indomani e non ebbi altro modo di vedere la città di Trapani se non dall’alto”. Correva l’autunno 2008; il seme della sua avventura trapanese era stato, però, già sparso. “Nel 2010 – prosegue Cremona – fui contattato da Ornella Fulco e Stefania La Via per la rassegna letteraria Terrazza d’Autore. Quella che si verificò tra me e i luoghi, tra me e le persone di Trapani, è stata un’alchimia che non si manifesta tutti i giorni: l’intesa è stata immediata. Percorrendo i luoghi e lasciandomi guidare dalla loro mano, a poco a poco, mi sono innamorato della città e l’amore da cui mi sono sentito circondato e la calorosa accoglienza che le persone mi stavano tributando hanno generato una sorta di corto circuito dentro di me. E così i luoghi, le memorie e gli amici – perché tali stavano ormai diventando alcune delle persone che ho conosciuto a Trapani – si sono uniti in un mondo di parole che ha preso la forma degli episodi che poi sono diventati le cartoline. Oltre a luglio per la rassegna Terrazza d’Autore, nel 2010 sono tornato a settembre, ad ottobre e a dicembre. Ancora due volte nel 2012 e poi nel 2014 per la grandiosa messa in scena di cartoline tenutasi a Valderice”.
Edizioni EVA, Venafro (IS), cartoline da trapani sono state stampate nel 2013. Al nostro stupito interrogativo come mai, al giorno d’oggi, “cartoline”, Renzo Cremona non si fa cogliere impreparato ed esplicita compiutamente i motivi della scelta di tale denominazione: “La cartolina ha una dote che altri mezzi non manifestano: permette il tempo della riflessione, riporta alla lentezza, alla possibilità di concederci il lusso di pensare e quindi di porre una distanza tra quello che abbiamo vissuto e il modo in cui tutto questo viene filtrato dal nostro universo personale. E le mie “cartoline” sono appunto “filtrate”, “seppiate”, hanno una preponderanza di tempi passati, ormai immodificabili; sono qualcosa che noi abbiamo scelto rispetto a qualcos’altro e su cui scriviamo qualcosa che è nostro”. Volumetto di ventidue testi distribuiti su cinquanta pagine circa, veste editoriale spartana, nessun prologo, cartoline da trapani sono il raffinato racconto lirico di un innamoramento. Usiamo invero, per comodità e per approssimazione, la locuzione “racconto lirico” essendo consci di punzecchiare così Cremona, il quale nella citata intervista infatti ribatte: “Il dissolvimento dei confini tra prosa e poesia risponde a una mia esigenza molto forte. Ho cominciato scrivendo in versi e poi mi sono reso conto che non rispondevano alla ripercussione interiore che io avevo delle parole. È venuto [così] fuori questo genere poetico particolare, che ha certamente dei precursori”.
Atteso che, cogliendo il destro da questa lettura offertoci, ci soffermeremo succintamente su taluni dei luoghi esplorati, reperendone stringati rimandi al mito, alla storia e indicandone qualche confacente notazione, ci avvarremo, per l’esigenza di renderli immediatamente fruibili, della facoltà di scrivere in corsivo gli estratti che addurremo a supporto del nostro argomentare. Non ometteremo altresì di rimarcare talune intriganti formulazioni, ricercate invenzioni, taluni felicissimi esiti lirici e sintattici, che magistralmente egli crea.
La raccolta si apre col testo la città. Circa 70.000 abitanti, capoluogo dell’omonima provincia, porto commerciale sul Mediterraneo, Trapani, la sua economia si basa oggi sulle attività legate al commercio e al turismo, sulla pesca (già quella del tonno), sull’estrazione e sulla esportazione del marmo. Posizionata nella parte occidentale della Sicilia, nel promontorio dell’antica Drepanum in latino, dal greco Δρέπανον, falce, data la forma della penisola sulla quale insiste, Renzo Cremona ne allestisce una tersa, schematica icona:

monti alle spalle … palpebre rivolte a ponente … la città si risveglia quasi penultima. le vie si dispiegano verticali, salgono impazienti verso l’acqua … si fanno viaggi incagliati nel ricordo delle darsene, i viali strumenti del crepuscolo per infiltrarsi all’improvviso … nello sguardo dei passanti. fissando tenace nella memoria i luoghi dove finiscono le date … sta la città ad attendere. aspetta di vedere il mare ed oscilla protendendosi come due scintillanti corna di lumaca assetate di mondo …

e con vivissimo acume, nella splendida figurazione sta in basso … la città … eppure è in alto che guarda, ne recepisce e rilancia l’ansia del riscatto.
Un elemento distintivo della sua scrittura prorompe: in tutta la silloge, nomi e titoli compresi, Renzo Cremona non usa mai le iniziali maiuscole delle parole. Mai; nemmeno dopo il punto fermo.
Tappa obbligata per tutte le navi che solcavano il Mare Nostrum, mercé il suo attivo porto commerciale il sale trapanese raggiungeva ogni mercato del Mediterraneo. Probabilmente impiantate dai Fenici, le saline di Trapani e le strutture elevate per la lavorazione del sale, fusesi nei secoli con il paesaggio naturale, hanno dato vita a un ambiente unico e suggestivo. Costituite nel 1995 in riserva naturale regionale e questa affidata in gestione al WWF Italia, con le sue peculiarità botaniche, la sua ricchezza faunistica, il suo patrimonio di storia e lavoro, le saline si estendono per quasi 1.000 ettari nel territorio dei comuni di Trapani e di Paceco. Ben visibili da Erice, affacciandosi verso le Egadi, da esse Renzo Cremona trae impulso per il secondo testo:

sugli allargamenti di sale si arriva via cielo, ma anche attraverso il mare, il che è la stessa cosa quando i colori non sanno esattamente come pronunciarsi e rendersi distinti gli uni dagli altri. i cristalli del cloruro … un mulino di quando in quando … lì la natura sembra tacere dietro un cenno di imbarazzo salmastro.
non ne parlano più neanche i documenti. si pensava … che fosse già stato demolito e qualcuno ne ha persino messo in dubbio l’esistenza. allora sono state le maree dello sgomento a dettare legge, era la prima nave all’orizzonte a far crescere aguzzi i rovi della paura. eravamo sicuri che la minaccia provenisse dal mare. ci chiediamo … dove sia mai finita quella paura. fatichiamo ancora oggi ad attingere memoria di quei tempi.

Ecco poi appena delineato, in essenziali incisive pennellate, il terzo frammento della suite: il bastione dell’impossibile. Eretto dagli Spagnoli nel XVI secolo, esso insiste in fondo alla via XXX Gennaio con angolo in via Ammiraglio Staiti. Il nome deriva – secondo Mario Serraino – dal fatto che la sua imponenza rendeva impossibile un’agevole penetrazione dentro il recinto urbano delle forze ostili, ponendo un robusto argine alle incursioni. Il passo: eravamo sicuri che la minaccia provenisse dal mare, richiama alla mente l’espressione “Mamma li Turchi!” Il grido Mamma li Turchi ha origine dal fatto che, dal 1400 al 1600 circa, le popolazioni rivierasche dell’Italia meridionale sono state periodicamente “visitate” dai pirati ottomani, che depredavano le città, commettevano ogni sorta di razzie, saccheggi, stupri e barbarie e catturavano uomini e donne che poi rivendevano come schiavi. Allorquando da terra venivano avvistate le navi ottomane, veniva lanciato questo grido di allarme, che da allora è diventato sinonimo di pericolo imminente. Con “Turchi” – attesta Giuseppe Di Marzo – si etichettavano indistintamente tutti i maghrebini, nostri dirimpettai, di pelle scura. E dunque, un tempo che non è più, che non è mito ma ne assume il sigillo nelle pagine di Renzo Cremona, torna a rivivere e nell’oggi, più che a una storia del passato ripetuta, assomiglia alla ri-creazione di un’epoca favolistica: ci chiediamo … dove sia mai finita quella paura … se sia davvero esistita.
Innegabilmente, quando venne a Trapani la prima volta e verosimilmente anche quando vi mise piede la seconda, Renzo Cremona non se ne sognava lontanamente gli sviluppi. E allora, fatte salve le nostre spicce osservazioni, qual è stata, è lecito domandarsi, la genesi delle varie “cartoline”? Attingiamo, daccapo, a detta intervista: “I luoghi fisici – afferma egli – sono stati il punto di partenza delle “cartoline”; per cui alcuni posti li ho raccontati effettivamente per quello che ci ho vissuto quando li ho visti; altri per le storie che ho immaginato avrebbero potuto essersi svolte in quella cornice; altre volte, invece, sono state le parole ispiratemi dai luoghi ad avere creato un loro spazio e ad avere preso la forma di un luogo”. “Durante una passeggiata serale mi fu indicato – rammenta Cremona – un edificio diroccato ai margini di viale Regina Margherita; mi fu suggerito che i lacerti di quella casa avrebbero potuto forse ispirarmi. Così è stato. Un episodio frutto della compenetrazione di mondi verificatisi e mondi mai verificatisi che solo la parola permette; ma un episodio assolutamente reale nell’universalità della storia che descrive. Senza quella “scala interrotta”, senza quei muri che solo lì esistono e solo lì hanno ragione d’essere, la “cartolina” non sarebbe stata trapanese, ma di qualsiasi altro luogo”. E, sentiamo di aggiungere, la scala interrotta (in questa circostanza, peraltro, la cartolina abdica in favore della lettera), nella trasfigurazione concepitane e realizzatane da Renzo Cremona, è assurto a uno fra i testi più belli, riusciti, vibranti di tutta la silloge!

ti ho scritto una lettera. per farlo, ho chiesto a quello di me che non comprende cosa sia la vergogna di allacciare le parole al sangue e di farle addormentare sulla carta. ti ho scritto una lettera e l’ho ripiegata. per farlo, ho chiesto a quello di me che ti conosce di usare … parole che non possono essere fraintese. ti ho scritto una lettera e ho accarezzato l’indirizzo. per farlo, ho chiesto a quello di me che sa dove abiti … di farsi strada tra le macerie e le bombe. ti ho scritto una lettera e l’ho consegnata. per farlo, ho chiesto a quello di me che sa camminare di raggiungerti nella casa dove i giorni ti hanno ricoperto di oblio. ti ho scritto una lettera e sono, alla fine, qui sulla tua soglia. per farlo, ho chiesto a quello di me che non ha paura del tuo silenzio di fartela avere. ho preso tutti i miei anni in un abbraccio, questa lettera.

Benché essa non la prima in ordine di apparizione nella raccolta, la badia nuova in via garibaldi è la prima “cartolina” che Renzo Cremona ha scritto. “Una sera di luglio del 2010 – confessa egli nella summenzionata intervista – monsignor Liborio Palmeri propose di visitare questa bellissima chiesa. Accettammo. Si era svolto un matrimonio e l’impresario addetto al trasporto dei fiori stava sgomberando. La moglie lo attendeva seduta su una delle panche del fondo. Il caldo della giornata non si era ancora placato del tutto”.

stavano delle donne, accanto alle loro presenze residue, sedute davanti agli inginocchiatoi. la moglie, ricoperta dalla colla di un pomeriggio madido di traspirazioni, aspettava. scaturiva … un senso di gradinate e di febbre che stentava a rimanere in equilibrio. la calura bolliva sulla sommità delle sopracciglia.

Si fa largo e s’impone un aspetto di primo acchito poco percettibile. Renzo Cremona si esprime sovente usando le forme dei verbi alla prima persona plurale (anche col soggetto sottinteso), con ciò palesando un ammirevole senso di appartenenza, di comunione affettiva e spirituale alla comunità della quale discetta: entrammo; eravamo sicuri; fatichiamo ancora oggi; eravamo finiti impigliati; guardavamo le case; noi nuotavamo sul fondale. Egli mostra di compenetrarsi, di ricomprendersi in quella comunità come fosse uno di loro (uno di noi, per meglio dire), un trapanese e ne condivide tempo, spazio, emozioni: fummo dietro alla torre; noi non sapevamo i nostri veri nomi; vedevamo l’incendio; fummo in un attimo zattere; raccoglievamo foto; tacemmo e ci affidammo agli occhi; noi imparammo lì a prenderci cura di noi stessi; constatammo la loro presenza; ci interrogammo sul senso delle barche; preferimmo rimanere sul bordo dei nostri occhi.
Cos’è la poesia?, ci si chiede da sempre. È la scansione in versi? È il metro? È l’argomento? È …? Per quanto la definizione sostanzialmente sfuggente, se ne riportano talune autorevoli: “La poesia è magia. Il poeta è un sacerdote di riti misteriosi”, Stephane Mallarmé; “La poesia non deve dire ma essere”, Archibald McLeish; “La poesia è un perfetto universo di parole”, Anonimo. “Mi è capitato – considera Cremona –, dopo alcune letture pubbliche, che le persone che avevano acquistato un mio libro si meravigliassero di non trovare le parole disposte in versi. Io rispondo che il ritmo, le pause, la “musica” del testo, questo è ciò che “fa poesia”, non l’uso delle maiuscole o di altri elementi puramente visivi della pagina scritta; trovo che questa forma risponda meglio ai ritmi con cui si distribuiscono le parole nella mia scrittura”.

caletta san liberale e torre di ligny, due delle tappe/cartoline, si situano a un tiro di schioppo l’una dall’altra:
la notte si era affacciata con reti di umidità dal mare. le voci … avevano bordi pericolanti come tetti di edifici in procinto di crollare. il vento si portava via qualche parola … mangiandosi la coda dei nostri discorsi. l’orlo delle onde … si disarticolava sfasciandosi come chiglie immaginarie contro qualche scoglio.
c’è un camminamento alle estreme regioni della città che porta i passi a sfiorare i confini. il mare lo cinge da entrambi i lati infiltrandosi con urla di salsedine. il pensiero ultimo della terra che abbandona se stessa.

Là dove la città si assottiglia, sugli scogli che formano la prosecuzione della stretta lingua di terra della città antica, tra il mar Tirreno e il canale di Sicilia, sorge la Torre di Ligny, eretta nel 1671, durante la dominazione spagnola della Sicilia, su ordine del generale belga Claude Lamoral, principe di Ligne.

dall’alto vedevamo l’incendio che era stato fatto … il silenzio nero della terra offesa. mentre le cabine salivano … si faceva … la vista più larga, gli occhi … sempre più spalancati.

Inaugurata l’8 luglio 2005, la funivia Trapani-Erice collega il capoluogo con Erice, sull’omonimo monte a 751 metri sul livello del mare. Ci si riallaccia, così, ai primordi di questa avventura. Ma stavolta Renzo Cremona, lungo il tragitto, fra un pilone e l’altro, ha suo malgrado modo di constatare le devastanti conseguenze della piaga degli incendi estivi. Nonostante ciò, che meraviglia, che magnificenza, che estatico spettacolo della Natura il panorama mozzafiato che si schiude a beneficio di chiunque, trapanesi e non, mediante la cabinovia per erice vetta o con altri mezzi, raggiunga Erice vetta!
Il percorso guidato di Renzo Cremona alla scoperta della città e dei suoi dintorni non ammette tregua e non conosce distanze e così, dopo Erice, i suoi occhi catturano altri seducenti scatti: il sanatorio abbandonato; le mura di tramontana; bastione conca; la scala tra le mura di tramontana e via libertà; porta ossuna.

le labbra si accostavano timorose agli altari del nostro silenzio. i passi vibravano sul pavimento delle nostre vene. compariva, dalle fenditure, la vera geografia che la vita aveva deciso per noi.
il cortile è deserto, stretto nella morsa della ruggine tra i cancelli e i cigolii del tempo. il vento abitato da tormenti strani e febbricitanti … conversavamo a bassa voce. non ci destavamo mai dal nostro sonno quotidiano. non chiedevamo niente, se non di stare al sole. i giorni … erano sempre voltati dall’altra parte.
i mesi hanno taglie sulla loro testa. e il mio desiderio di rialzarmi … giace … sconnesso tra i cernecchi della memoria, infilzato dal silenzio, costretto ad agonizzare tra le grate e le punte del ferro.

Per circa un chilometro, dalla Piazza ex Mercato del Pesce al Bastione Conca, le Mura di Tramontana facevano parte delle mura perimetrali della città. Vi si accede dalle due estremità o dalle scalinate che ne intervallano il tragitto e permettono di godere di uno dei panorami più affascinanti della città. Cosa lo attrae nelle scale? Oltre a la scala interrotta, vi si annoverano infatti: le scale che portano in soffitta; le scale che portano in cantina; la scala tra le mura di tramontana e via libertà; le scale dalle quali pendevano i lacerti di un mondo di ruggine; scendi per le scale, mamma. Sottintendono esse, con i loro reiterati saliscendi, il metaforico susseguirsi dei giorni per un destino che inesorabile scorre fino a rivelare l’assenza della felicità?

ai confini della città ci interrogammo sul senso delle barche. gli sterpi e i cespugli, padroni ormai di quel silenzio … ci fermammo ad osservare tracce di chi prima aveva abitato quel luogo. le case … erano intente a cucire con fili spinati il doloroso tessuto di separazione che il mare aveva loro imposto.

“Durante la mia visita a Trapani del 2010 – riprende Cremona – feci, assieme ad alcuni amici, una gita alla Colombaia. Come tutti i posti abbandonati nei quali si continua ad avvertire la presenza di chi li ha abitati, la Colombaia possiede il fascino ammaliante di quegli spazi della memoria. È come se rappresentasse una vita al crepuscolo o come fosse l’immagine del nostro animo poco prima dell’imbrunire: l’attimo in cui si avverte tutto il peso di un’esistenza affaticata, se ne avvertono le occasioni mancate, i fili strappati, le scuciture mai più ricomposte. Allo stesso tempo, però, è come se si insinuasse dentro di noi un inizio di riconciliazione con tutto ciò che è stato, quasi i dolori si stessero sedimentando sul fondo e noi contemplassimo le nostre vite con il distacco che solo dopo la fine di un dolorosissimo fortunale si riesce ad avere”.
Isolotto posto all’estremità orientale del porto di Trapani, la Colombaia (dal greco peleia, colomba), i primi documenti storici ne fanno risalire l’origine al tempo della Prima Guerra Punica. Ricostruita nell’attuale forma ottagonale dagli aragonesi, intorno al 1400, durante il regno di Carlo V divenne fortificazione militare e, dopo i moti del 1821 e fino al 1860, venne adibita dai Borboni a prigione. Caduta in stato di abbandono dopo il 1965, anno di apertura del nuovo carcere, nel 2009 entra a far parte del Fondo per l’Ambiente Italiano e nel 2010 passa da bene dello Stato a bene della Regione siciliana. Ed ecco con i misteri, il testo più lungo della collana, siamo giunti all’epilogo. Prima, però, destiniamo qualche riga al nostro autore.
Nato nel 1971 a Chioggia, dove vive, laureatosi nel 1995 in Lingua e letteratura cinese presso l’Università di Venezia, Renzo Cremona è insegnante e consulente linguistico. Traduttore di testi letterari dal cinese, dal neogreco, dal portoghese e dall’afrikaans, ha fra l’altro pubblicato: Foreste sensoriali (1993); Lettere dal mattatoio (2002); La pergamena delle mutazioni (2002); Cronache dal centro della notte (2004); Tutti senza nome (2006); Il canone del tè (2007); Tundra (2009); Dei vizi e delle virtù (2010); Neve (2011); cartoline da trapani (2013), nonché due antologie bilingue in italiano e neogreco, entrambe con Keti Màraka, Sedici settimane / Dekaxi vdomades (2007) e Suites (2008). È impegnato in reading e recital, in Italia e all’estero, destinati a “togliere dagli scaffali le parole scritte per avvicinarle a un pubblico di appassionati”.

è l’alba di un giorno lungo, mamma. le lancette degli orologi non avranno braccia abbastanza grandi per coprirlo. cos’è questo scirocco che apre le finestre? dal fondo del vicolo arrivano le figure. ho paura delle figure. ho paura che abbiano la mia faccia. si trascinano, ondeggiano, vacillano … si spingono su per le strade. girano gli angoli e s’incastrano sempre più nelle budella delle città. la folla … è un mare che bolle. l’ordine si è fatto bolgia, la musica frastuono. cosa vorrà mai dire questo mistero di festa e di sangue? i portatori … verranno a strapparti dai miei piedi … ci sarà solo silenzio, poi … la città si farà sepolcro.

Nel novero delle cartoline, i misteri sono l’unico non luogo. Essi costituiscono, difatti, un evento verbale, un avvenimento corale nel quale autentico fervore mistico, genuino trionfo di popolo, trama intessuta dell’incombenza della morte si fondono e, lungo ventiquattro ore, si accompagnano a un convulso proteiforme mélange costituito da figure inquietanti e d’armi, da fili d’argento e corbelli di fiori, da gravi “annacate” bandistiche, in uno scenografico format in perenne equilibrio su una colata ultrasecolare di fideistica cera corrotta da rituale caccavetta e simenza. Rappresentazione artistica della passione e morte di Cristo, la processione dei misteri è una processione religiosa che si svolge a Trapani da oltre 400 anni. Composta da venti Gruppi, si avvia dalla Chiesa delle Anime del Purgatorio, con inizio alle ore 14.00 del Venerdì Santo, per concludersi, dopo avere percorso le principali vie cittadine, ventiquattro ore dopo.
L’interrogativo che, sin dall’incipit: è l’alba di un giorno lungo, mamma (ma, il vocativo attraversa tutto il testo: gridare non ti servirà a nulla, mamma; per le scale, mamma; ho paura della notte, mamma; le figure sono ormai statue, mamma; i tamburi li senti, mamma?; ci sono fiamme, mamma; tra breve tutto sarà finito, mamma), abbiamo ritenuto di doverci porre è: chi è il figlio estensore della missiva? Varie ipotesi sono state vagliate. In ultima analisi, la risposta più quotata è stata che quel figlio sia giusto l’autore, il quale tanto ha finito con l’immedesimarsi nella rappresentazione che ha vissuto e sta narrando da assumerne su di sé il ruolo centrale. Ci conforta in questa interpretazione lo stesso Cremona: “Quanto accade, accade attorno a te, dentro di te, assieme a te, perché in quelle lunghe ore tu sei parte di tutte le vite che popolano questo pianeta, ne senti e ne vedi rappresentato un paradigma esistenziale”. Un ruolo allora, per riprendere, che è cruciale, è il più duro, è esclusivo; è quello del Cristo. Un Cristo che è Dio ed è carne, e di Dio è figlio e altresì della carne, e quale figlio (un po’ ripercorrendo “quel” calvario), in procinto di compiere l’atto estremo del suo passaggio terreno, non manca di rivolgersi alla madre: cercheranno in te quegli occhi che hanno spento in me; vengono … mi prendono … non mi porteranno più a casa; tra breve tutto sarà finito. Peraltro lo stralcio, pure un po’ inquietante ma emblematico: ho paura che abbiano la mia faccia, (che avvalora l’identificazione del Nazareno con l’uomo, con ciascun uomo, con l’intera umanità) pare messo lì apposta per confermarcelo.
Come nel giorno del Venerdì Santo il procedere delle vare, il ritmo della “cartolina” è incalzante, ci avviluppa nello spiegarsi delle sue spire, lo scirocco (contrassegno climatico della Sicilia) che vi soffia vorticoso ci riduce boccheggianti. “Dentro la mia testa – registra Cremona – fremevano le immagini della processione. Volevo che questo fremito si sentisse nelle parole e, dato che i luoghi sarebbero diventati parole loro stessi, desideravo trovare un modo per trasformare quest’esperienza e convertirla in segno scritto. Mi convincevo che l’unico modo era un turbolento, caotico e divorante flusso di coscienza, un giardino di suoni dai quali emergessero sì quelli che erano i veri Misteri – la processione, le statue, il percorso, la conclusione all’interno della Chiesa del Purgatorio –, ma anche i miei Misteri, la mia prospettiva, la storia personale che si agitava sotto. Volevo che i Misteri parlassero trapanese. Mi è stato indicato Marco Scalabrino, che ha fatto tesoro della sua sensibilità e della sua esperienza di traduttore per traghettare le mie parole. Mentre l’episodio avanza e il flusso della processione si fa sempre più magmatico, la presenza del dialetto siciliano diventa sempre più dilagante, finché non occupa tutto lo spazio rimasto”.
Renzo Cremona e la città di Trapani hanno stretto alleanza! La piena simbiosi fra loro instauratasi è sfociata nel ricomprendere anche il codice espressivo e il poeta ne ha funzionalmente adottato il linguaggio. Taluni passi de i misteri sono, infatti, in dialetto siciliano (e in dialetto siciliano, addirittura, il libro si chiude: sunnu carizzi chi la fudda si manciau e si tinni pi idda). Passi che si fondono in tutt’uno con l’italiano e, in virtù della icasticità propria del dialetto, contribuiscono a rendere con maggiore scrupolo, veridicità, vivezza l’atmosfera dei Misteri e a trasferire integralmente la totale immersione dell’autore, che li ha vissuti – l’uscita, il percorso, l’entrata, il contesto -, con ogni disposizione di cuore, di intelletto, di spirito, in prima persona, giorno e notte. Nel corso delle narrazioni, intrise di rimandi simbolici, tutta una serie di pregevolissime invenzioni e di mirabili esiti lirici, inoltre, si dipanano. Ne riferiamo, solo a mo’ di esempio, alcuni: una prua malata di nostalgia che tiene gli occhi confitti nel tramonto; il mare ci costringeva a rimanere seduti sopra la nostra fretta; le nostre dita si erano rattrappite a forza di annodare il vuoto dei secondi; i nostri pensieri avevano abiti che non riuscivano a chiudersi; il tempo aveva lasciato alcune biciclette sugli orli dei nostri occhi; i gomiti del tempo erano colmi di polvere; i margini dell’isola si stavano lentamente accartocciando come gli orli di una mappa antica sopraffatta dalla luce e dal fuoco.
Appressandoci alla conclusione, ulteriori residue osservazioni.
Essere cittadino del mondo! Questo sentire proprio di Renzo Cremona (il suo studiare le lingue, dal cinese all’afrikaans, dal portoghese al neogreco, è la dimensione pratica di questo sentire) gli ha consentito, nel suo peregrinare artistico, di approdare a Trapani, di ravvisarne gli ambiti più magici e di fare assurgere il suo “personale diario di viaggio” a contenuto universale per un percorso poetico, cartoline da trapani, che suscita emozioni nel cuore di ciascun trapanese e ancor più di ciascun lettore;
da qualsiasi parte ci si volti, il mare. è là, che circonda, che abbraccia. ci lambisce. naviga nei nostri giorni. In via torrearsa, gli sono sufficienti quattro righe per rilevare una fra le caratteristiche salienti della città di Trapani: l’essere in mezzo a due mari visibili alle estremità di una stessa via;
in porta ossuna, tramite i versi del poeta, la città si personifica e, resa oggetto animato, parla in prima persona: per chi si è abituato ad essere una città falcata, come me; io città dimentica dentro la città;
per quanto affermato dallo stesso Cremona in apertura: “le mie cartoline sono filtrate, seppiate, hanno una preponderanza di tempi passati”, se dovessimo per congiuntura tirare una stampa delle cartoline non potremmo che farla in bianco e nero. Perché soltanto il lucido contrasto, la patina tutelare, la soave malinconia del bianco e nero ne potrebbe rendere tutta la loro potenza evocativa.
Nella sua ideale visione della città di Trapani, Renzo Cremona l’ha collocata in una virtuale Hall of Fame e ne ha esposto memorabilia, tradizioni, cimeli i più rappresentativi. Egli ha aperto una finestra mediante la quale il mondo ne potrà scoprire lo spaccato migliore; ha magnificato la “sua” città, l’ha resa una diva e ne ha allestito un superbo portfolio: le cartoline.