Pubblicazione: giugno 2002.
Editore: Edizioni del Leone (Spinea, VE).
Collana: Poesia.
Codice ISBN: 88-7314-034-3.
Immagine di copertina: Il bue scuoiato, di Marc Chagall (1947).
Note: Il libro comprende testi scritti tra il 1995 e il 1998. Nel 1999 le versioni inglesi di Posta e Lettera ad un amante sono state pubblicate nei Paesi Bassi all’interno della FlikkerAgenda 1999 Tijdloos. Nella versione elettronica, pubblicata nel 2013, Lettere dal Mattatoio è stato interamente rivisto ed aggiornato.

posta.

perché nulla andasse perso,

perché i giorni non corrodessero la memoria

ho mangiato le tue parole

e le ho fatte scendere al buio.

dove il tuo inchiostro

è diventato il mio sangue.

 

il deragliamento.

 

“manteniamo i contatti” dissero.
e ci tagliarono
nella nebbia del cuore
i fili della luce.

 

per mia colpa, mia grandissima colpa.

ego te absolvo in nomine patris,

filii et spiritus sancti.

 

ci si prende sempre cura di pulire

il coltello
prima di

adoperarlo.

 

mattatoio.

 

ripulisco i muri dalla notte

con la luce di un nuovo giorno.
la bava del futuro
che tra poco

divora anche la memoria.
il senso vago
ma comunque inevitabile

di un vicolo cieco.

 

bisanzio.

 

In uno stato di delirio

per nulla apparente
mi alzo
la notte
in cerca della memoria

che si sta perdendo.

e la sento,
è un’eco che perde forza
mano a mano che percorro le pareti

e disincaglio le dita

dalle ragnatele dei ricordi,
mentre scruto carte
e diari di bordo
per trovare una rotta qualsiasi

in una geografia appannata.
quasi sempre è un corridoio,
e succede di vedere
la luce di un televisore

acceso altrove
che illumina immagini

di qualcosa che io

non sono più,
in una stanza

che non riesco a raggiungere,

per quanto
continui a camminare,
dove si pronunciano parole
che io
non conosco.

 

breve discorso sulle differenze.

 

diverso
mi vollero.
per timore

di essere

 

uguali.

 

visita allo zoo.

 

nuovi spazi

si vogliono creare

 

perché
tutti

 

restino

nei propri.

 

manicomio.

 

cercando una strada

trovò quella
che portava
dentro di sé.
venne un giorno

e non riuscì più

a tornare.

 

cronaca dal margine di un’insolazione.

 

allo stato brado di un pensiero,
sul confine

tra un mozzicone di sigaretta e il deserto
è quasi sera,

ma prima che le prede scappino
l’ago della bussola
ha già toccato terra
e segnato il punto d’arrivo.

 

ed ecco che le loro pelli

brune e bruciate
scampate ai naufragi
ma non all’arroganza dei sensi
sbarcano sulla terraferma

e ricompaiono sui pontili,
ed un’ombra di pietra e inquietudine
scivola dentro le scarpe.
lente e fugaci
misteriose e buie
come segni incisi

in epigrafi etrusche,

attendendo il momento dell’incontro
confondono

l’espressione di una certezza

alle parole,
il senso della notte

al giorno in arrivo,
il profilo vago ed instabile di un sogno

che sfugge
nel buio
che precede
una caduta.

 

scalzo.

 

senza chiedere.

e senza dare.

 

momentaneo narcotico

di me stesso.

 

così
mi presento sulla spiaggia
al giorno
che mi copre già i piedi

di schiuma marina.

 

anche se di capelli non ne ho più

 

perché li ho rasati,
da anni
tu continui a strapparmeli

uno ad uno.

ed ogni strappo

è un urlo,

ed ogni urlo
uno squarcio

che si apre divelto

al centro della mia
paura.

 

anche se tu

sei ormai un ricordo
senza mani
e
senza voce.

 

su di un corpo vivo.

 

che sia sempre leggera la tua mente
e non pesi sul tuo corpo

che sia sempre leggera
e che leggeri mantenga quindi i tuoi piedi,
affinché non affondino
col loro dolore
nel fango e
nella sabbia.
che siano agili i tuoi piedi,

perché è là che vivono vetri

e regnano sassi,
dove pietre cariche di rancore

e schegge aguzze

sfregiano i tuoi passi
e tra le dita già ti ghermiscono
urlando

 

mani inferocite.

 

la piscina.

 

se ci penso
temo di sognarlo
se lo sogno
temo di nuotarci.

 

ogni volta

al sorgere del sole notturno
ecco i rami che arrivano
e sogno di nuotare

in una grande piscina.

 

e i miei piedi lo capiscono:

c’è solo la superficie
ma
manca

il fondo.

 

dimensione degli specchi.

 

tanto li ho attesi,

nonostante la sabbia e il silenzio,

che ora sono qui davanti a me,

cresciuti su di una terra

dove non pensavo potesse più nascere erba.

e non sono né sogni

né realtà,

ma solo ombre di luce

e messaggi perduti.

sono i pensieri escoriati

e le lettere

mai giunte a destinazione

in cui le mie dita affondano

consapevoli di lacerare il presente,

luoghi in cui danzano mani

che non mi hanno mai accarezzato,

pensieri e corpi

che ho sempre rincorso

e non ci sono mai stati

mentre io,

disteso sull’equinozio,

all’incrocio dei miei e dei tuoi sensi,

guardo questo mondo d’acqua

e di liquide immagini

dove giace,

come sul fondo di un lago,

una casa abitata

da barche naufragate

o da occhi di bambole

cadute in un coma profondo,

come sulla soglia

di un volto graffiato

dal passato

che prende lentamente forma

e di cui non riesco ancora

a decifrare

i contorni.

 

a colpi d’ascia.

 

per sbaglio

ho provato a baciarti,

solo per sbaglio.

ma le mie labbra

erano sporche di verità

e i tuoi pensieri,

perduti in corridoi

che non riesco più a trovare,

pulsano ancora

avvolti in fiamme impazzite,

lasciando che

i ferri chirurgici del passato

squarcino e offendano

la memoria

del nostro

futuro.

 

spalancai la bocca

 

per respirare

il cielo.

ingoiai invece

pioggia e fango.


vomitai una parola

mal pronunciata

e vidi:


quella parola


ero io.

 

da quando

 

in piena notte

ha telefonato

dicendo

che i miei capelli

gli ricordano

il muschio

che nasce sulle cortecce,


non riesco più

a guardare un albero

senza cercarvi sopra,

incise,

le sue parole.