Literary nr. 9/2017

Lingua madre

di Claudia Manuela Turco

L’opera Lingua Madre (Biblioteca dei Leoni, 2017), disponibile in “edizione bilingue”, ovvero in italiano e nel dialetto di Chioggia, conferma Renzo Cremona, autore dotato di mente prodigiosa, tra le voci più interessanti della sua generazione.
Talune parti del libro sono presentate solamente in italiano o soltanto nella “lingua madre”. Balzano all’occhio, per quanto concerne l’iniziale e lungo dialogo ambientato all’“Ufficio Visti”, soprattutto le battute in dialetto, che sono state tradotte in italiano; invece quelle in italiano non vedono il loro corrispettivo in dialetto. La struttura della narrazione e il piano che sorregge l’intera costruzione sono così particolari da essere valsi all’opera l’inserimento nella Collana “Scritture”, diretta da Paolo Ruffilli.
Lingua Madre, ponendosi sul crinale tra narrativa e teatro e soddisfacendo le esigenze di entrambi, innovando al contempo le consolidate strategie, si presenta in forma di volume denso e intenso, quasi perfetto, grazie a una scrittura leggera che tutto avvolge. Nella parte finale del libro pare di assistere a uno spettacolo a più voci, in giro per le calli di Chioggia.
L’autore sa essere acuto e spiritoso, costantemente attento alle varie implicazioni, dimostrando in prima persona che non si può essere sensibili solo quando fa comodo («voi le minoranze le difendete solo con la bocca e quando sono qualcosa di lontano, via da casa vostra, quando non sono altro che un’idea»), rivelandosi capace di cogliere anche le evanescenze con precisione (una nebbia innaturale avvolgerà Chioggia, e la colpirà una secca senza precedenti, tra inspiegabili stranezze e coincidenze, lungo il dipanarsi dell’insolita trama). Con lucidità, è stata concepita una tessitura di eventi avvincenti, intrecciati con eleganza a un lessico, in realtà, semplice.
La democrazia delle anime viene sempre rispettata: non si accettano, in tale visione, ingiuste gerarchie, anche se talvolta è necessario che sia una persona sola a prendere le decisioni, per poter uscire dal caos. Inoltre, soltanto esigenze pratiche, legate al numero dei soggetti coinvolti, devono indurre all’uso di una lingua comune, e non perché quella lingua sia migliore delle altre o dei dialetti. E un riflesso di tale atteggiamento si riscontra pure a livello grafico, con l’esclusione delle lettere maiuscole, che creerebbero prevaricazione visiva, oltre che concettuale (pertanto, forse sarebbe più corretto scrivere il titolo di questo libro tutto con lettere minuscole: lingua madre).
Sinora nemmeno a livello legislativo si è tenuta presente una definizione soddisfacente dei concetti di “dialetto”, “minoranza linguistica”, “lingua”, derivandone ulteriore confusione e tutela inadeguata. Renzo Cremona accenna anche a tematiche quali le differenze che sussistono tra il “veneto” e il “chioggiotto”, e sull’importanza della traduzione per la crescita di una lingua.
Dopo la prima parte del volume, presentata in forma di dialogo tra il “DIALETTO” e la “LINGUA” (ecco l’eccezione che conferma la regola: per indicare i due protagonisti di questo dialogo, e i titoli dei vari capitoli, si usano le maiuscole), assistiamo a un susseguirsi di episodi raccontati ancora attraverso lo strumento del dialogo, che l’autore sa gestire magistralmente, ma facendoci udire soltanto una voce alla volta, un solo interlocutore. Tra i vari punti di vista, la narrazione progredisce spedita e fluida e soprattutto senza lacune (pare, comunque, di sentire anche la voce degli altri interlocutori, risultando molto facile immaginare quanto stiano dicendo).
Renzo Cremona cattura in modo sistematico gli errori di ragionamento e pone in evidenza l’ingiusto trattamento riservato al dialetto, il quale di solito viene ritenuto vecchio, inutile, non al passo con i tempi, dotato di un lessico insufficiente, privo di capacità di astrazione e, al contrario, troppo concreto, ossia terra-terra, ridicolo (facendo facili battute sulle goldoniane baruffe chiozzotte), persino volgare (per taluni inadatto alle ragazzine, per altri da relegarsi a una dimensione solo domestica). Se mai fosse “lingua”, per i suoi detrattori dovrebbe trattarsi di “lingua morta” e al massimo potrebbe venirgli concesso un “visto turistico”.
La difesa del dialetto, in questo libro, poggia su solide basi. In particolare, riguardo alle possibili parole mancanti, leggiamo: … «non le ha perché non ne aveva bisogno. tutte le lingue hanno quello che gli serve. quelli che vivono tra i ghiacci, gli eschimesi, non hanno forse più di trenta termini per parlare della neve?» (a tal riguardo, possiamo rammentare Il senso di Smilla per la neve di Peter Høeg). In modo analogo Margherita Hack ha sempre strenuamente difeso l’“intelligenza pratica” degli animali, combattendo ogni forma di “razzismo”.
In Lingua Madre emergono violenze e ipocrisie di vario genere, mentre l’autore riesce a individuare un comune denominatore. Anche chi non dispone della parola ha un suo linguaggio e occorre essere rispettosi della sofferenza di chiunque, soprattutto degli indifesi e degli innocenti: «e la spugna le si è gonfiata dentro la pancia» … «il cane è morto nel giro di qualche ora» … «alla fine l’ha trovata nel sottoscala tutta zitta, mogia mogia. …e lei che cercava di scodinzolare: non ce la faceva più» … «il mio bisnonno non ha più voluto avere altri cani in giro per la casa. ma il dispiacere per la morte di quell’animale innocente deve avergli spezzato il cuore. non ne ha più parlato, però sapevamo tutti che custodiva quella foto nel portafogli. e chi ha dato la spugna al cane sapeva bene cosa stava facendo: il dispiacere gliel’ha voluto fare davvero grande».
Con onestà intellettuale e lungimiranza, Renzo Cremona abbatte diversi luoghi comuni, rammentandoci, per esempio, quanto sia importante pensare bene prima di agire, poiché poi spesso non è possibile rimediare: «il tempo, è vero, aiuta a rimarginare alcune ferite, ma basta che ci si sfreghi contro una parete dalla superficie un po’ più scabra ed ecco che tutto si riapre come per disgrazia». E, su diverso versante, ecco un altro luogo comune disgregato: «ma mi dice cos’è che sapreste voi più di noi?» … «padre. …sì, si prenda cura degli altri fedeli che non le fanno domande a cui lei non sa rispondere. non le rubo altro tempo. io e lei non credo ci rivedremo più».
In occasione dell’alluvione conclusiva di Lingua Madre, «sembrava avessero scritto sull’acqua, e che lettere e suoni stessero nuotando in mezzo alla corrente che saliva».
Augurando al chioggiotto un futuro migliore, proprio servendosi della liquidità, della fluidità della sua prosa, Renzo Cremona è riuscito, almeno in parte, ad arrestare l’emorragia – d’acqua e sangue – della sua “lingua madre”.