QUARTO POTERE Anno 6 – numero 28, pag. 21 (luglio 2010)

L’intervista

di Ornella Fulco

Renzo Cremona è una delle voci più interessanti del panorama letterario nazionale. Lo abbiamo incontrato in occasione del suo intervento nell’ambito della rassegna “Terrazza d’Autore” della Fondazione Pasqua2000.

QUANDO LA PAROLA RICREA IL MONDO

Togliere dagli scaffali le parole scritte per avvicinarle ai lettori”: è questo, in definitiva, ciò che avviene quando si propone un autore alla fruizione del pubblico, smontando gli stereotipi secondo cui la poesia è difficile o addirittura inutile. Ho incontrato Renzo Cremona, senza dubbio una delle voci più interessanti del panorama letterario nazionale, in occasione del suo reading “La Parola e l’Incanto” in cartellone per la rassegna letteraria “Terrazza d’Autore” voluta dalla Fondazione Pasqua2000 in collaborazione, quest’anno, con l’Assessorato alla Cultura di Valderice.

Renzo, cosa è per te la scrittura?

Per me lo scrittore è un affamato di vita che, però, ha ricevuto un dono in più, quello di riuscire ad elaborare in parole ciò che tutti viviamo. La scrittura è un modo per allargare le dimensioni del mondo, la parola ci permette di creare nuove realtà dove tutti possiamo abitare, le parole stesse possono essere “abitate” secondo me”.

Tu sei un esperto linguista, ci parli del tuo rapporto con la lingua e la scrittura?

La lingua è un mondo dentro il quale possiamo entrare. Ogni volta che si estingue una lingua o un dialetto non si perdono soltanto le strutture grammaticali e verbali o le opere scritte in quella lingua, ma scompare un intero sistema, è come assistere all’estinzione dell’ultimo esemplare di una specie. Le modalità di pensiero e di espressione che ogni lingua ha proprie sono una possibilità in più di “vedere” e di “pensare” il mondo. Avere più parole per potersi esprimere, per uno scrittore, è affascinante. Come dice la mia amica poetessa Christine De Luca che vive nelle isole Shetland, conoscere due o più lingue è come banchettare in doppia misura. Io sono d’accordo, la lingua è cibo.”

Tu hai tradotto molto e sei stato tradotto in diverse lingue, pensi che tradurre la poesia sia possibile?

Il traduttore per me è come un traghettatore, le parole sono come passeggeri che stanno su una barca e tu le porti da un’altra parte, in un territorio completamente diverso. Devi essere consapevole di questo. La traduzione per me è la voce nuova che queste parole acquisiscono. A me piacerebbe molto che il nome del traduttore comparisse sul libro con la stessa evidenza del nome dell’autore, come se fa in musica con i grandi interpreti o i direttori d’orchestra: l’opera è la medesima sullo spartito, ma l’esecuzione può essere anche molto diversa e questo non scandalizza nessuno.”

La tua scrittura, specie nelle sue ultime fasi, appare difficilmente classificabile: forme che non sono del tutto poesia si mescolano a forme che non sono del tutto prosa.

È vero, si tratta di un processo ancora in corso: questo dissolvimento dei confini tra prosa e poesia risponde ad una mia esigenza molto forte. Io ho cominciato scrivendo in versi e poi mi sono reso conto che non rispondevano alla ripercussione interiore che io avevo delle parole. Con “Cronache dal centro della notte” e “Tutti senza nome” è venuto fuori questo genere poetico particolare che ha certamente dei precursori, ma io li ho scoperti solo dopo! Mi è capitato, dopo alcune letture pubbliche, che le persone che avevano acquistato un mio libro si meravigliassero di non trovare le parole disposte in versi. Io rispondo che il ritmo, le pause, la “musica” del testo, questo è ciò che “fa poesia”, non l’uso delle maiuscole o di altri elementi puramente visivi della pagina scritta. Questo può piacere o non piacere, ma io trovo che questa forma risponda meglio ai ritmi interni con cui si distribuiscono le parole nella mia scrittura.”

Da cosa nasce l’idea per un personaggio, lo spunto per una poesia?

Nei modi più impensati. Cassandra, ad esempio, è nata una sera d’estate, stavo facendo una passeggiata in auto con un amico per andare a prendere un gelato e ho dovuto fermarmi per scriverne il testo. Non avevo carta con me e ho preso appunti sul retro di una bustina da tè: è venuta fuori come la conoscete, non l’ho più cambiata di una virgola. Questa è stata, però, un’eccezione, di norma i miei testi nascono dal voler mettere a fuoco una tipologia di personaggio, di carattere, di modalità dell’esistenza e dal lavoro che compio attorno a questa idea”

Secondo te esiste ancora spazio per essere originali in ciò che si scrive?

Sebbene parte della mia produzione sia molto sperimentale, questo non avviene in senso anarchico: io non voglio distruggere la parola, anzi! Il mio è un lavorio attorno alla parola per farla brillare della sua luce, per togliere il grezzo che c’è attorno, le concrezioni che si creano con il tempo. Sono un adoratore della tradizione nel senso che riconosco che tutti abbiamo un’eredità culturale in cui nasciamo e siamo collocati. Secondo me l’ideale sarebbe che ogni autore sapesse inserirsi all’interno di una tradizione ben precisa – che non vuol dire scrivere banalità – perché questo gli permette sicuramente di essere compreso molto meglio. Ci sono dei codici all’interno dei quali bisogna muoversi che consentono alla parola di non essere sterile, di poter essere trasmessa. La difficoltà è come riuscire a lasciare il proprio segno all’interno della tradizione. Oggi scrivono in molti e si pubblica tanto, io penso che sia impegnativo e responsabilizzante rendersi conto di essere scrittore e farlo, ma è giusto assumersi il compito di portare qualcosa di nuovo. L’esercizio continuo della lingua, lo sperimentare, il conoscere, il leggere – siamo un Paese dove si legge pochissimo ma tanti vogliono scrivere – siano gli strumenti per portare il proprio contributo originale: altrimenti sarebbe come pretendere che il nostro corpo funzioni senza mangiare”.

Renzo, secondo te la Poesia può cambiare il mondo?

Bella domanda! Io sono convinto che il dire una parola o non dirla, l’essersi fermati quel giorno a parlare due minuti in più con qualcuno o il non averlo fatto, l’aver risposto o meno ad una domanda, possa cambiare radicalmente il percorso di vita delle persone. Se la poesia, come parola, può accendere una miccia dentro la vita di una persona, aiutarla a guardare il mondo da una prospettiva diversa, allora sì, la poesia può cambiare il mondo, molto più delle armi”.