La Nuova Tribuna Letteraria, N. 97 Anno XX – 1° Trimestre 2010

Haiku e dintorni: Renzo Cremona (p. 28)

a cura di Claudio Bedussi

Per le Edizioni del Leone di Spinea (Ve) è recentemente apparso Tundra, un’altra convincente opera di Renzo Cremona. Spicca nel panorama italiano degli haijin questo autore che riesce ad essere classico, ma senza manierismi, e fortemente innovativo, ma senza artificiosi sperimentalismi. Il campo poetico unitario dell’ispirazione, stavolta, è la tundra, declinata con una inusitata fantasmagoria d’inflessioni, e così avvolgenti da portare il lettore dentro un viaggio imprevisto. Pagina dopo pagina questo esile libretto, composto da altrettante “esili” composizioni, gli haiku per l’appunto, aperti e subito sospesi secondo i canoni classici specifici del genere, si manifesta nell’animo del lettore come la rivelazione sistemica di orme a traccia di un avventuroso viaggio. Passando dai silenzi artici e dalla rarefazione di forme delle spoglie distese tundriche la pista porta ai ricchi silenzi tra le parole. Dapprima episodica e frammentaria, la tela non mostra trama né ordito; poi le pennellate dei singoli haiku divengono i filamenti di un percorso alchemico non lineare che si fa strada e a tratti esplode come le aurore boreali in magie di forme, geometrie e suggestioni: le ragnatele | di frattali alchemici. | dovunque reti. || cerchi tacciono. | alba transiberiana | di treni altrove. È proprio il bisogno di ricorrere anche al linguaggio visionario, certamente visionario, delle geometrie frattali e degli studi sul caos, unito alla capacità di saperlo fare, che segnala lo sforzo del poeta di penetrare la ricchezza di quegli spazi infiniti, contemporaneamente esterni ed interni all’essere umano, portando la parola poetica a sondare territori impensabili per la matrice figurativa, tipica dell’haiku: qualche impronta | nei silenzi minimi | nessuna aggiunta. || senso boreale | di nuove matematiche | bianchi silenzi. Intendiamoci, accanto a queste innovazioni rese forse necessarie, certamente funzionali, quasi dal sentire tutta l’inadeguatezza della struttura naturalistico-descrittiva solita nell’esperienza viva di un ambiente straordinariamente estremo, Cremona conserva il linguaggio proprio dell’haiku classico, fatto di immagini appena evocate, subito lasciate, senza alcun commento apparente, in silenzio al centro della scena. all’orizzonte | alberi verticali. | silenzio artico. Addirittura non mancano, anche in questo testo, i suoi camei in latino, che però non appaiono mai come forzature e sfoggio inutile di cultura, così inseriti nel solco di un’esperienza che cerca sperimentalmente un linguaggio per esprimersi anche nella rappresentazione e fusione di più linguaggi. Le contaminazioni linguistiche di generi e stili si alternano nella pagina da una composizione all’altra, ma non di rado attraversano internamente gli haiku, sicché questi divengono il laboratorio principale di uno haijin di specie finora sconosciuta, ma già in grado di produrre esiti di valore: neve e silenzio. | le tundre scintillanti | di muschi algebrici. Così il poeta porta a convivere nella sua poesia le dimensioni plurime dell’animo umano gettato nelle “geometrie d’estasi” di spazi immensi e rutilanti luci boreali. Né il richiamo tutto dickinsoniano appaia forzato in questa sede. È vero che le geometrie d’estasi della poetessa americana nascevano all’opposto dagli spazi ristretti della propria stanza e dalle viste, ugualmente ristrette della propria finestra, ma come ho già avuto modo di scrivere confrontando la sua esistenza apparentemente statica con il “nomadismo” di Basho, l’infinitamente piccolo va prodigiosamente a rivelarsi come un infinitamente grande e viceversa, allo spirito di una poesia che si apre alla visione profonda. Non a caso l’opera si conclude con due haiku paradigmatici, ovvero esemplari: ordine intatto. | persistenza segreta | in ogni cosa. || il tarlo del tempo | in fondo alle nevi | acquartierato. Il respiro ossimorico del primo, dove l’immobile dimora nel movimento stesso, si rovescia nel secondo in un movimento, il senso lancinante del tempo, che dimora nell’immobile distesa delle nevi perenni. Ed ambedue vanno a comporre quella conciliazione degli opposti che è l’ultima Thule, l’ultima terra conoscibile, mitica e insieme concreta, ma spoglia da ogni senso di egoica superiorità, la terra dove la nostra mente trova pace.