La Nuova Tribuna Letteraria, Nr. 85 (1° trimestre 2007)

Renzo Cremona, TUTTI SENZA NOME

di Pasquale Matrone

La lettura di Tutti senza nome, il nuovo libro di Renzo Cremona, mi ha fatto pensare subito a “La trappola”, una delle novelle più significative di Luigi Pirandello. Mi è tornato in mente un passo che racchiude il senso doloroso e profondo del pensiero dell’artista siciliano. Lo riporto fedelmente: “Ma che vuole dire, domando io, darsi una realtà, se non fissarsi in un sentimento, rapprendersi, incrostarsi in esso? È dunque, arrestare in noi il perpetuo movimento vitale, far di noi tanti piccoli e miseri stagni in attesa di putrefazione, mentre la vita è flusso continuo, incandescente, indistinto. La vita è il vento, la vita è il mare, la vita è il fuoco; non la terra che s’incrosta e assume forma. Ogni forma è la morte.” Renzo Cremona, fatte naturalmente le dovute distinzioni, utilizza la scrittura con intenti molto simili a quelli pirandelliani. Infrangendo le regole della forma e, tuttavia, rivelandosi raffinatissimo conoscitore dei meccanismi, dei segreti e delle potenzialità del linguaggio, lo scrittore riesce a giocare con le parole come pochi sanno fare; e che, mentre si diverte a inventare nomi paradossali e situazioni che rasentano l’assurdo, affonda il suo bisturi in uno dei drammi più cocenti dell’attuale momento storico: la profonda e crescente divaricazione tra realtà e apparenza, tra la persona e il burattino che, lasciandosi manovrare a suo danno, finge o s’illude di rappresentarla. Il libro, corredato dalla postfazione di Alvise Foschi, che ne svela l’impalcatura e i pregi con rara perizia, si divide in tre parti intitolate, rispettivamente, Cronache dal centro della notte, Cronache dalla notte ulteriore, Le vite perpendicolari. Le tre sezioni, delimitate da un Prologo e da un Epilogo, rappresentano le tappe di un percorso che, iniziato nel buio angosciante e informe di una notte che sfiora la disperazione, ha come meta finale la conquista consapevole, da parte dei viandanti, di una nuova identità, rischiarata da una luce che restituisce finalmente dignità, rigenerandoli e attribuendogli nomi più veri e credibili, alla natura, alle cose e agli uomini. Il finale è lieto, perché ispirato dalla fede in un sicuro e salvifico riscatto. Il punto più buio della notte è proprio quello che precede l’inizio del giorno. Tutta qui la verità semplice e maestosa a cui l’autore fa riferimento. Una frase buttata lì da un’amica diventa elemento prezioso di un’illuminazione salutare e benefica per vincere il male di vivere, per convincerci che è ancora possibile liberarsi da una forma che ci vede vegetare e agire come bestie ottuse e aggressive, gli uni contro gli altri, in un conflitto di tutti contro tutti. Tutto questo viene narrato con una scrittura che, nel mentre fa le viste di scegliere la ribellione della sregolatezza, a poco a poco svela la cifra stilistica e la bravura di un autore capace di padroneggiare un patrimonio culturale di dimensioni notevoli che interagisce abilmente sia con il mondo classico sia con la produzione più qualificata della letteratura contemporanea. E che, certamente, ha ancora molte cose da raccontare.