Punto di Vista, Nr. 36 (aprile-giugno 2003)

Renzo Cremona, Lettere dal mattatoio

di Francesco De Napoli

La poesia di Renzo Cremona trae alimento vitale e piena giustificazione dallo sforzo volto a “decifrare i contorni” del “volto graffiato del passato”, che altro non è che “la memoria del nostro futuro”. Sono pensieri e visioni “sporche di verità”, che si sviluppano lungo due linee direttrici fondamentali. La prima è quasi aforistica, essenziale e asciutta: le riflessioni, che assumono il carattere oggettivo ed universale della “massima”, tendono a misurarsi con “l’eterna libertà provvisoria” della condizione umana. È il caso di poesie come quella intitolata Paraklausithyron: “Quante sono le porte chiuse. | E quante | dopo essersi aperte | rimangono ancora più chiuse di prima.” Il secondo registro possiede una connotazione più intima e privata, attenta alle implicazioni di natura psicologica. Cremona scava nell’intimità del proprio “io”, confessando con scrupolo quasi psicanalitico i tormenti ed i tumulti della propria anima. Leggiamo alcuni versi da Zona d’ombra: “senza nemmeno accorgermene | prima dell’alba | commetto di nuovo l’errore e | dopo avere rastrellato il terreno arrancando sulle mie stesse orme | vado a leggere la mappa che tengo accartocciata nella memoria.” Esiste poi un terzo gruppo di poesie, il cui numero è più ristretto, che contempla e unifica le motivazioni di entrambe le linee principali, sintetizzandole nel segno della “comunicazione tra sé e gli altri”, come si legge nella brillante Nota Editoriale. Una di queste poesie si intitola Orizzonti: “Voleva vedere la luna. | E non aveva mai visto dentro di sé. | Forse proprio per questo.” Anche Breve discorso sulle differenze risponde alla medesima esigenza: “diverso | mi vollero. | Per timore di essere | uguali.” Come appare evidente, è un poetare estremamente interessante, acutamente pensoso epperò scevro di noiosi e confusi intellettualismi, in possesso di un proprio solido impianto limpido e lineare.